Incontriamo oggi nella nostra intervista, la professoressa Noemi Di Gioia, laureata in Lettere con 110 e lode presso l’Università Cattolica di Milano, e che ha insegnato, per più di 40 anni, lettere italiane, latine e greche, al triennio del liceo, sia classico che scientifico. È conosciuta anche per i saggi e i libri che ha pubblicato[1], nonché per il suo interessante blog dove tratta argomenti di critica letteraria e di arte.
Grazie a questa vasta esperienza nel mondo della scuola, vorremmo capire meglio con lei quanto contano e che ruolo svolgono le competenze umanistiche nella formazione dell’individuo.
Una prima domanda che vorremmo rivolgerle riguarda la sua scelta: cosa ha rappresentato per lei l’insegnamento?
Sono stati vari i motivi, che mi hanno spinto ad insegnare, come per esempio l’amore per la conoscenza e per lo studio ed il desiderio di approfondimento. Per insegnare agli altri, infatti, sono necessari la formazione e l’aggiornamento continui nell’arco di tutta la vita. Ho sempre pensato poi che il rapporto con i giovani sia molto appassionante per l’insegnante nella misura in cui sollecita nuovi stimoli e può diventare anche un utile interscambio di punti di vista diversi.
E quindi l’insegnamento ha avuto per lei anche un significato umano, oltre che professionale…
Per la mia forma mentis e per la mia educazione ho sempre sentito l’insegnamento più come un dovere. Naturalmente c’è stato anche il piacere personale e la gratificazione nello svolgere una professione certamente non facile, ma di alto profilo umano e culturale. Essere insegnanti, infatti, non significa solo trasmettere delle nozioni, ma assumersi la responsabilità di aiutare un giovane a trovare il suo posto nel mondo (soprattutto se si è insegnante delle superiori, come lo sono stata io). Significa cioè aiutare i più giovani non solo ad acquisire conoscenze, ma anche ad assumere modalità di comprensione, atteggiamenti e comportamenti idonei, per meglio costruirsi un futuro.
In base alla sua esperienza, perché è importante che le nuove generazioni si avvicinino alla letteratura e alle discipline umanistiche, visto che viviamo in un’epoca così fortemente orientata alla tecnologia?
Ciò che mi fa paura è la crescente separazione tra la cultura scientifica-tecnologica e quella umanistica ed il minor apprezzamento di quest’ultima. L’uomo invece è un’entità unica, in cui sono compresenti entrambe le culture, naturalmente con prevalenze diverse in ciascuno di noi.
La cultura scientifica ci offre un metodo razionale, ma quando è necessario mettere in discussione le certezze, per una soluzione del problema innovativa e creativa, bisogna appellarsi ad una cultura umanistica che “libera le intelligenze”, rende flessibili le menti e facilita un pensiero divergente e capace di interpretare la realtà in tutte le sue sfumature. La cultura umanistica, quindi, deve equilibrare quella tecnica- scientifica, proprio perché facilita la comprensione dell’animo dell’uomo e del suo comportamento, dà un senso a ciò che facciamo ed insegna a capire ed a selezionare cosa conti realmente.
Mentre le competenze tecniche possono sempre essere acquisite nel tempo, quelle umanistiche derivano da una forma mentis, che si deve assumere fin da piccoli. Diventa quindi importante il ruolo della scuola nell’avvicinare i ragazzi, fin dalla più tenera età, alla lettura ed al modo umanistico in generale.
Con quali strategie educative si può sviluppare una passione alla lettura e alla letteratura, a prescindere dall’obbligatorietà del compito scolastico?
Si deve generare una cultura della lettura, senza ricorrere a metodi coercitivi o attraverso l’obbligatorietà, ma attraverso la dimostrazione dell’utilità del leggere, in quanto non solo migliora le competenze linguistiche, logiche e di comprensione, ma anche favorisce la conoscenza di sé e degli altri, attiva la memoria, la concentrazione ed il ragionamento, oltre alla capacità critica.
Fin dalla scuola primaria sarebbe opportuno, perciò, creare una libreria di classe e far visitare ai ragazzi le fiere del libro, perché la lettura, inizialmente vissuta come un gioco, diventi poi un’abitudine ed una necessità. La maestra può incominciare a leggere, insieme ai ragazzi, libri, che documentano esperienze vicine alle loro. Alla lettura in classe dovrà seguire necessariamente un’analisi, guidata dall’insegnante, attraverso domande ad hoc, dei fatti salienti del libro e delle figure principali, per abituare i ragazzi alla comprensione del testo.
E successivamente?
Una fase successiva consisterà nello stimolare gli allievi a ripetere quanto abbiano percepito ed a dimostrare quanto sia loro piaciuto, magari anche attraverso il disegno.
La tecnologia sta modificando il nostro modo di apprendere, per cui può rivelarsi molto utile mettere a disposizione dei ragazzi i nuovi strumenti tecnologici, alternandoli naturalmente ai classici libri.
Sarebbe opportuno che, tra la scuola secondaria di primo grado (quella che solitamente viene definita “scuola media”) ed il biennio della scuola secondaria di secondo grado (le “superiori”), i ragazzi siano sollecitati alla comprensione del testo, attraverso un processo di analisi e di deduzione, in modo tale che possano arrivare, nel triennio delle superiori, ad una sintesi documentata ed allo sviluppo di un pensiero critico personale, che però sia sempre sostenuto da argomentazioni razionali ed emotive e da precisi riferimenti al testo.
Ci pare di capire che, attraverso la sua esperienza con allievi di età più elevata rispetto ai bambini della scuola primaria, lei abbia colto a volte delle criticità. Come prevenirle? E quali competenze umanistiche coltivare fin da piccoli, per evitare difficoltà successive?
Essendo stata insegnante di italiano nelle ultime tre classi del liceo posso parlare delle criticità degli studenti, che iniziavano l’ultimo ciclo della scuola superiore.
La criticità, che ho riscontrato all’inizio del triennio e che spesso impediva di iniziare il programma ministeriale, afferisce essenzialmente alla difficoltà da parte degli studenti di comprendere il testo, nel senso che non sempre riescono a coglierne completamente il significato. Emergono una certa approssimazione e banalizzazione e soprattutto una sovrapposizione di sé al testo, per cui fanno dire all’autore ciò che invece è nella loro testa.
A suo parere, a cosa vanno attribuite queste difficoltà?
Ovviamente queste criticità derivano sia da una disabitudine alla lettura, sia dalla mancanza di una forma mentis, che riconosca al testo la centralità che gli spetta. Ciò significa che ogni giudizio o qualsiasi affermazione devono essere il risultato di una lettura meditata, per cui devono sempre essere supportati da precisi riferimenti testuali. L’educazione alla testualità, quindi, passa attraverso la comprensione degli elementi del testo stesso e ciò favorisce non solo la formazione delle competenze linguistico-comunicative e culturali – letterarie, ma anche allena alla comprensione ed all’accettazione dei punti di vista diversi.
Ringraziamo la professoressa Di Gioia per la disponibilità e per l’impegno con cui, attraverso le sue numerose attività, promuove la diffusione della cultura umanistica, dell’arte e delle contaminazioni che, dall’una all’altra, contribuiscono allo sviluppo di una società dove il confronto, la capacità di ascolto e la comprensione dell’altro rappresentano valori fondamentali.
[1] Per quanto riguarda la critica letteraria, ES e Superego in Giacomo Leopardi, scritto con Giuseppe Tarditi, 2012; Ugo Foscolo: il trionfo della vita sulla morte, 2012
Sui temi sociali segnaliamo: Uguaglianza o differenza di genere? Un saggio scritto per le donne ma soprattutto per gli uomini, 2013; Vivere il cambiamento, 2014; La parità tra uomini e donne: una questione ancora irrisolta, Il problema non riguarda solo le donne, ma tutta la società, 2016
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