Nell’articolo che segue, intendiamo dare uno spunto, che necessita di approfondimenti e letture specifiche, su una metodologia che ha trovato applicazione in numerosi contesti, sia aziendali, sia formativi. Ci riferiamo all’Appreciative Inquiry.
L’Appreciative Inquiry (AI)[1] è una metodologia che, come indica il termine “appreciative”, intende utilizzare un processo di ricerca che ha come obiettivo il riconoscimento del valore, sia di un singolo, sia di un’organizzazione: si tratta quindi di ricercare quanto di più positivo è presente in una comunità, evitando di focalizzarsi sugli aspetti negativi del passato, e dirigendo l’interesse e la riflessione sulle possibilità positive di proiezione nel futuro.
Attraverso questo approccio, si ritiene che il presupposto sia che qualsiasi essere umano abbia delle peculiarità che possono dare un contributo utile all’intera comunità a cui appartiene. In questa ottica, contano, sia per il singolo sia per l’organizzazione, gli elementi positivi utili a guardare e a progettare il futuro, privilegiando l’intelligenza collettiva: la metodologia dell’AI parte, infatti, dall’indagare ciò che funziona e non “ciò che non funziona”, sia per quanto riguarda le organizzazioni, sia gli individui.
Se proviamo ad immaginare di applicare questi elementi di “apprezzamento” – o potremmo dire di valorizzazione – all’interno di un gruppo classe, come se si trattasse di una piccola comunità, potremmo rimanere stupiti dei risultati[2].
Per attuare un miglioramento, solitamente si parte dalla ricerca e dall’analisi delle criticità, di ciò che non funziona o che non porta ai risultati positivi previsti. Generalmente affrontiamo le criticità attraverso un percorso che individua il problema, definisce un obiettivo, indica una strategia e sceglie delle azioni correttive.
La modalità proposta dall’AI parte invece da
attraverso un approccio partecipato, a cui collaborano tutti i membri del gruppo o della comunità.
Questo metodo vuole quindi affrontare il futuro – o gli obiettivi futuri – guardando alle problematiche del passato in modo sostanzialmente positivo, mirato, collaborativo e che valorizza le potenzialità esistenti. Questa modalità alimenta la motivazione dei singoli individui, l’integrazione e il senso di appartenenza e quindi anche il singolo, all’interno del gruppo o della comunità, è più disponibile a dare il proprio contributo in modo costruttivo.
È un approccio che è stato applicato in contesti organizzativi di imprese e comunità sociali, ma si ritiene che possa trovare utile applicazione anche nei contesti di apprendimento.
Il modo con cui raccontiamo noi e gli altri ha una grande influenza su come percepiamo noi stessi e il mondo che ci circonda. La narrazione e il linguaggio utilizzati rappresentano quindi un elemento fondamentale che influenzano la formazione e la strutturazione della personalità del bambino: ciò condiziona la percezione di se stesso nel mondo, in relazione con gli altri, e la sua autostima, anche in prospettiva futura.
[1] Questa metodologia nasce in America verso la fine degli anni ’80 e lo studioso maggiormente accreditato è David Cooperrider
[2] Ryan, Francis J., et al. “Appreciative Inquiry: Using Personal Narratives for Initiating School Reform”. The Clearing House, vol. 72, n. 3, Taylor & Francis, Ltd., 1999, pp. 164-67, http://www.jstor.org/stable/30189436.
Bibliografia
Cooperrider, David, Appreciative Inquiry: Una rivoluzione positiva nel cambiamento. The Change Handbook, Berrett-Koehler Publishers, Inc. (2005).
Bernard J, Mohr, Gli elementi essenziali dell’indagine riconoscente; Una tabella di marcia per creare futuri positivi. Pegasus Communications, Inc (2002).
Whitney, D.; Trosten-Bloom, A. The power of Appreciative Inquiry: A practical guide to positive change, San Francisco, CA: Berrett-Koehler (2003)
Barrett, F.J. & Fry, R.E. Appreciative Inquiry: A Positive Approach to Building Cooperative Capacity. Chagrin Falls, OH: Istituto Taos (2005)
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